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FRAGILI E AGGRESSIVI. ECCO CHI SONO GLI ADOLESCENTI IN BRANCO. Come riconoscerli per difenderci e aiutarli

“Doveva essere una serata normale, poi i ragazzi hanno iniziato a bere alcolici e fumare marijuana, quando abbiamo rifiutato di fare altrettanto, ci hanno picchiato”.

“Quel clochard lo abbiamo colpito, per noia e per gioco, con spranghe e martelli. E poi siamo andati via”.

“C’è chi dice siano sei, chi dieci. Sono ferocissimi. Tra loro anche alcune ragazze. Compiono furti, dettano legge, e aggrediscono chiunque trovino sulla loro strada. Senza motivo hanno massacrato di botte un ventenne mentre camminava in centro per i fatti suoi”.

Ordinari episodi di violenza collettiva: il volto spaventoso e folle del branco. Un intreccio di persone, per lo più adolescenti fra i 7 e i 14 anni, che hanno forte lo scopo di sentirsi onnipotenti, cancellare la debolezza individuale, la confusione del futuro e l’angoscia di sentirsi nullità.

Il branco è proprio questo, un agglomerato di energia e forza incontrollabile che devasta e sfida senza un minimo di paura. E in cui è forte il bisogno di emulare ciò che fanno gli altri e dove la responsabilità delle azioni brutali si diluisce fra i membri portandoli ad autogiustificarsi.

IL CONTESTO

È piuttosto facile pensare che la microcriminalità trovi terreno fertile nei contesti degradati, in cui sussistono condizioni critiche a livello economico e familiare. In realtà una percentuale piuttosto alta di fenomeni di criminalità minorile afferisce a contesti in cui l’estrazione sociale è medio-alta. Si tratta spesso di adolescenti incensurati, con alle spalle famiglie benestanti, che vivono annoiati nel benessere e che scelgono il gruppo per innalzare ulteriormente il proprio status.

COME CAMBIA IL COMPORTAMENTO NEL BRANCO

Quando gli individui si muovono in gruppo l’intelligenza media è pari a quella del meno intelligente, non a caso reagiscono e agiscono principalmente basandosi sulla forza fisica e non sull’abilità intellettiva.

Molte sono le ricerche fatte allo scopo di analizzare la psicologia del branco, fra questi l’esperimento carcerario condotto da Philip Zimbardo, che ha preso alcuni volontari e li ha trasformati in guardie o carcerati, giungendo a spingere i primi a sottoporre a torture i secondi alla luce della loro immedesimazione nei ruoli loro assegnati; i primi sono diventati violenti ed aggressivi, i secondi remissivi e impotenti.

I partecipanti erano stati selezionati perché ritenuti equilibrati, maturi e privi di un passato criminale. Nonostante questa selezione accurata, Zimbardo fu costretto a interrompere l’esperimento dopo solo sei giorni perché le guardie erano diventate violente, sadiche e vessatorie nei confronti dei prigionieri. Questi, umiliati, dimostrarono sintomi di apatia e disgregazione individuale e collettiva.

Il risultato dell’esperimento fu definito “effetto Lucifero” perché ha dimostrato come persone essenzialmente buone, possano trasformarsi in mostri capaci di atti disumani. Questo suggerisce che la malvagità non deriva solo da chi siamo, ma viene anche determinata dalla situazione specifica in cui ci troviamo.

Una delle condizioni che si verifica è la perdita dell’identità individuale a vantaggio di quella di gruppo: ogni volta che nella mente di una persona l’appartenenza a un branco è predominante, non agisce più come singolo con una propria consapevolezza e diventa incapace di riflettere sulle proprie azioni. Il gruppo dà la sensazione di anonimato e riduce il senso di responsabilità.

IL BRANCO HA BISOGNO DI UN CAPO

L’impatto che il ruolo di direttore del carcere ricoperto dallo stesso Zimbardo, ha avuto sull’esperimento, non è affatto trascurabile. La sua autorità ha aiutato a legittimare il comportamento vessatorio delle guardie. L’autorità, se visto come fattore legittimante, può far emergere il lato peggiore nelle persone come dimostrò il professore di Yale e Harvard Stanley Milgram, nei suoi esperimenti sull’obbedienza, nel quale un’autorità, nel caso specifico uno scienziato, ordinava di dare delle scosse elettriche a un’altra persona fino a un voltaggio potenzialmente letale. Più del 60% dei partecipanti, anche se dimostrarono sintomi di tensione e protestarono verbalmente, diedero la scossa più forte.

La caratteristica fondamentale del branco è la necessità di avere un capo. Il branco “è’ un gregge che non può fare a meno di un padrone – sosteneva l’antropologo Gustave Le Bon -. Rari però sono i capi dotati di forti convinzioni, la maggior parte mira all’interesse personale e cerca il consenso lusingando i bassi istinti”. Dal canto loro, ogni componente del branco cerca di venir legittimato per sentirsi parte di qualcosa di più grande, un’identità che da solo non sa riconoscersi o che non gli viene riconosciuta dall’esterno.

LE RESPONSABILITA’ DEL BRANCO

Fino a qualche anno fa, grazie agli studi di Milgram e Zimbardo, si pensava che una volta inserito in un ruolo, in una determinata situazione, in un dato gruppo di appartenenza, un individuo tendesse a seguire passivamente gli ordini impartiti o le regole del gruppo, perdendo ogni consapevolezza di sé.

Più recentemente lo stesso esperimento carcerario, è stato riproposto e questa volta i ricercatori sono arrivati alla conclusione che chi ubbidisce a un ordine odioso non è una marionetta inconsapevole, bensì un esecutore attivo e partecipe di un gesto che, in quel momento, considera perfettamente appropriato. “Le brave persone che prendono parte a azioni orribili – spiega Alex Haslam, autore dello studio – non lo fanno perché sono diventate d’un tratto passive e prive di raziocinio, ma perché sono giunte a credere, solitamente influenzate in questo da chi detiene il potere, che quell’atto è giusto”.

Esiste insomma un fattore “entusiasmo” di cui Milgram e Zimbardo non sembravano tenere conto. “La tirannia non si fonda sull’ignoranza e sulla debolezza dei suoi sostenitori, ma sulla loro convinzione di agire per una grande causa”.

TEORIE E MOTIVAZIONI

Esistono varie teorie che tentano di identificare le cause dello sviluppo del fenomeno. C’è chi sostiene che parte della colpa sia imputabile alle serie tv incentrate su spaccati di vita disagiati, disastrati e degradati. In alcuni casi la tendenza ad adottare condotte anti-sociali è associata alla psiche dei soggetti, in frustrazioni non controllate che portano a scaricare l’aggressività su persone più deboli. E chi ritiene che la responsabilità sia da ricercare in contesti familiari problematici, nell’ambito dei quali sussistono divorzi, separazioni difficili e talvolta anche perdite.
Al contrario anche una famiglia troppo protettiva e accondiscendente può far nascere nel ragazzo il forte desiderio di ribellarsi. Insomma non esiste un’unica motivazione e ogni singola teoria può risultare più o meno accreditata a seconda dei contesti e delle situazioni.

TRE RAGIONI CHE SPINGONO UN ADOLESCENTE A FAR PARTE DI UN BRANCO

I ragazzi sono spinti in gruppo da un forte desiderio di anticonformismo, sulla base del quale tendono ad andare contro tutto ciò che impone delle regole da seguire. L’opposto di ciò che hanno il coraggio di fare individualmente. La criticità è spesso insita in un’educazione carente, povera di regole da rispettare, o addirittura in una totale assenza di orientamento socio-educativo da parte dei genitori.

Nello specifico nel gruppo gli adolescenti cercano:

  • acquisire un’identità: in questa fase il ragazzo inizia a sviluppare la personalità, se non ha esempi o guide credibili, decide di seguire il capo branco, che è visto dal gruppo dei pari come uno che è “rispettato”
  • appartenere ad un gruppo che spaventa e che “conta”: incutere timore significa essere rispettati, sono le leggi della strada; non avendo ancora acquisito quella sicurezza interiore che permette di sviluppare la fiducia in se stessi, questi giovani si sentono protetti dal branco
  • avere potere: esercitare una sorta di dominio nel gruppo dei pari, dà loro una sorta di onnipotenza e invincibilità fittizia, che nell’immediato però, li fa sentire appagati

COSA POSSIAMO FARE NOI ADULTI?

Più di quanto crediamo:

A) EDUCARE AL SENSO DI RESPONSABILITA’

Analfabeti emotivi, trovano in azioni scellerate adrenalina pura e non essendo stati educati al senso di responsabilità, al rispetto per gli altri e per le autorità, diventano delle schegge impazzite.

Noi adulti abbiamo il dovere di dare l’esempio e dimostrare loro che non è solo importante diventare ricchi, potenti e famosi. Importante è appassionarsi a qualche cosa (sport, musica, arte, studio) e impegnarsi al massimo. Non bisogna intraprendere un’attività solamente perché può portare denaro, potere e fama; il piacere va trovato nella pratica stessa.

Dobbiamo trasmettere loro che non si è più furbi se si ottengono risultati imbrogliando o prevaricando. I risultati devono essere raggiunti attraverso la passione, l’impegno, la determinazione e la competenza.

L’individualismo patologico e la competizione sfrenata, dove vale tutto basta vincere a qualsiasi prezzo, non vanno d’accordo con la collaborazione. Se la nostra specie è sopravvissuta fino ad oggi, non è dovuto al fatto che l’essere umano fosse più forte degli altri animali, ma perché ha reso forte il gruppo.

 B) PROMUOVERE LA PRATICA DI SPORT DI GRUPPO

Gli sport di lotta, fra cui anche il rugby, soprattutto in età pre-adolescenziale dovrebbero essere discipline praticate obbligatoriamente nelle scuole primarie, soprattutto per i valori che trasmettono. Disciplina, rispetto per l’avversario, spirito di squadra, cooperazione, collaborazione, faticare e sudare per un obiettivo, resistere alle cadute e alle sconfitte, imparare a gestire la paura utilizzandola come una risorsa, controllare la rabbia, assumersi la piena responsabilità delle azioni e dei comportamenti “dentro e fuori” dalla palestra.

Ma soprattutto, questi sport insegnano che la fatica fatta in allenamento, non è finalizzata all’acquisizione di denaro né alla popolarità, ma alla pura soddisfazione personale, impagabile e fondamentale per aumentare l’autostima nei ragazzi e la fiducia nei compagni di squadra.

 C) DARE IL BUON ESEMPIO

Sì alla potenza, no alla prepotenza. Un antidoto alla violenza è l’esempio dei genitori: noi adulti dobbiamo testimoniare nella vita di tutti i giorni come si reagisce e come si comunica in modo potente, efficace, ma non prepotente. Occorre insegnare ai ragazzi che gli abusi quotidiani possono essere gestiti in modo maturo: può capitare in macchina, con un parcheggio soffiato all’ultimo, un sorpasso azzardato… Sappiamo noi per primi reagire in modo misurato?