E’ difficile contare le fake news che girano intorno al coronavirus (e non solo…). Così tante che è difficile riuscire a districarsi e capire ciò che ha fondamento da ciò che non lo ha. Ciò a cui bisogna credere e a cosa no. Come comportarsi, a cosa fare attenzione e se è davvero il caso di allarmarsi o meno.

Infatti, dati alla mano, il 48% degli italiani dichiara di aver creduto almeno qualche volta nell’ultimo anno ad una notizia che poi si è rivelata falsa, e di questi addirittura un terzo l’ha condivisa sui social, contribuendo quindi all’inarrestabile diffusione delle bufale.

LA PAROLA ALLA PSICOLOGIA SOCIALE

Perché fake news, teorie complottiste e credenze manifestamente illogiche continuano a diffondersi e sono così difficili da estirpare?

La spiegazione ce la dà la teoria della dissonanza cognitiva, elaborata negli anni ’50 dallo psicologo sociale Leon Festinger.

Quando una persona attiva due idee o comportamenti che sono tra loro coerenti, si trova in una situazione emotiva soddisfacente (consonanza cognitiva); al contrario, se le due rappresentazioni sono tra loro contrapposte o incompatibili si troverà a vivere una difficoltà nel decidere e giudicare.

Tale incoerenza produce una dissonanza cognitiva, che l’individuo cerca automaticamente di eliminare o ridurre a causa del marcato disagio psicologico che comporta; questo porta all’attivazione di vari processi elaborativi, che permettono di compensare la dissonanza. E tutto questo, senza alcun nesso con l’appropriatezza o la bontà del risultato finale: ciò che conta è semplicemente ritrovare un senso di coerenza interna.

Un esempio si può avere quando una persona disprezza esplicitamente i ladri, ma compra un oggetto a un prezzo troppo basso per non intuire che sia di provenienza illecita. Secondo Festinger, per ridurre questa contraddizione lo stesso individuo potrà smettere di disprezzare i ladri (modificando quindi l’atteggiamento), o non acquistare l’oggetto proposto (modificando quindi il comportamento). O addirittura indignarsi perché si autoconvince che qualcuno – specificato oppure no – deve averlo ingannato al proposito (modificando quindi le sue opinioni sul contesto).

UN MECCANISMO DIABOLICO

In un famoso studio, Festinger si infiltrò in una setta guidata da Dorothy Martin, una casalinga che profetizzava un’apocalittica inondazione in cui lei e i suoi seguaci sarebbero stati salvati su dischi volanti da uomini dallo spazio chiamati i Guardiani. Inutile dire che nessun uomo dello spazio si manifestò al momento indicato dalla profetessa, che però continuò a rivedere le sue previsioni.
Gli extra terrestri non si erano presentati nel giorno previsto, ma senza dubbio sarebbero arrivati l’indomani, e così via. I ricercatori guardavano affascinati mentre i credenti continuavano a credere – nonostante tutte le prove a sfavore – e anzi raddoppiavano il loro zelo nel fare proseliti. Un meccanismo “diabolico” che può essere applicato per comprendere certi fenomeni di massa.

NESSUNO E’ IMMUNE

Tornando alle fake news, non sbagliamo se diciamo che non risparmiano nessuno. Maggiormente inclini a credere alle fake news, sono le persone che risultano anche più facile preda delle mode relative alle novità, più dipendenti dall’approvazione sociale, ma soprattutto meno sicure e soddisfatte di sé e più lontane e scettiche nei confronti della ricerca scientifica.

L’ILLUSIONE DI MOSE’

Perchè siamo così facili vittime di fake news e bufale? Prima di cercare la risposta, provate a rispondere a questa semplice domanda: Quanti tipi di animali portò Mosè nell’arca?

Se state tirando ad indovinare, non sforzatevi, anzi rileggete la domanda. Con un po’ di attenzione noterete che l’arca non era di Mosè, bensì di Noè. Semplicemente l’idea degli animali che vanno nell’arca, crea nel nostro cervello un contesto biblico e Mosè non risulta anomalo in tale contesto. Non è qualcosa che uno si aspetta, ma vedere associata l’arca a quel nome non è sorprendente.

Questo fenomeno è conosciuto come “Illusione di Mosè”.

Sono diversi gli studi di psicologia cognitiva che dimostrano che siamo naturalmente portati a dare per sicuro quello che leggiamo, senza sentire l’esigenza di verificarlo. In pratica, il nostro cervello non è progettato per riconoscere al volo le bufale, cioè non utilizza sempre tutte le informazioni in suo possesso per distinguere la verità da una menzogna.

C’è poi anche il marketing a complicarci la vita: se qualcosa, in questo caso una notizia, “ci piace”, sarà più semplice considerarla valida. Perché siamo esseri umani fatti di razionalità ed emotività, ma è l’area del cervello deputata a quest’ultima la prima ad attivarsi di fronte a un impulso, e con essa quei bias di conferma verso le fonti che ci assecondano, alla ricerca di una coerenza narrativa molto difficile da scalfire una volta formatasi.

Si tratta dunque di meccanismi quasi “automatici” che spesso ci portano a dare per buono quello che leggiamo, facendoci incappare nella trappola della notizia falsa.

COME DIFENDERSI DALLE FAKE NEWS

  • Non crederci. A meno che non siate esperti della materia, la nostra prima e più importante arma di difesa è restare scettici su quello che leggiamo da internet e soprattutto dai social. Prima di crederci, ricordiamo che chiunque, senza alcun vincolo, può pubblicare notizie su internet e spacciarsi per esperto.
  • Controlla le fonti. Se, nonostante tutto, la notizia ci sembra “probabile”, verifichiamo che sia riportata anche su altre fonti, e verifichiamo che quelle fonti siano attendibili. Una notizia clamorosa o importante non può non essere riportata dalle principali agenzie stampa. A volte, poi, basta uno sguardo attento al link del sito d’origine.
  • Controlla i link sui social. Se nel link della notizia leggiamo “coriere.it”, siamo consapevoli che non stiamo leggendo una notizia del Corriere della Sera (il cui sito è corriere.it). Si tratta quasi sicuramente di qualcuno che vuole “spacciarsi” per la nota testata. Una volta capito questo, possiamo già valutare in autonomia quante possibilità ci sono che si tratti di una fake news….
  • Nessuno ci regala nulla. iPhone super nuovo a 99 euro? Non speriamoci, si tratta semplicemente di qualcuno che vuole “farci cliccare” sul proprio link per guadagnare qualche centesimo. Nessuno ci venderà mai il nuovo iPhone a 99 euro in un negozio, perché dovrebbero mai farlo su internet?
  • Fai una ricerca online prima di condividere. Inserisci le keyword relative a una notizia in un motore di ricerca. In molti casi appariranno prima i risultati di testate giornalistiche reali, che riveleranno la verità sulla vicenda. È comunque sempre consigliabile cercare informazioni su siti affidabili.
  • Consulta siti web dedicati al debunking. Esistono diversi siti creati appositamente per smascherare le fake news: una pratica detta “debunking”. Tra i più noti in Italia troviamo Butac.it (“Bufale un tanto al chilo”) e Bufale.net. Pubblicano regolarmente articoli che rivelano la verità dietro alle bufale del momento. Al loro interno è possibile anche consultare “black list” dei siti web che diffondono fake news.

Un ragazzo su tre dice di essere stato vittima di atti di bullismo online, 1 su 5 di aver lasciato la scuola proprio per questo. E’ il risultato di un sondaggio condotto dall’Unicef su un campione di 170mila ragazzi fra i 13 e i 24 anni di 30 diversi Paesi, che ha allarmato il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia e i partner della ricerca.

Parlando apertamente e in anonimato attraverso la piattaforma Unicef per il coinvolgimento dei giovani (U-Report), tre quarti degli adolescenti hanno dichiarato che i social network, fra cui Facebook, Instagram, Snapchat e Twitter, sono i luoghi in cui si verifica più comunemente il bullismo online. “Avere classi ‘connesse’ significa che la scuola non finisce più quando l’alunno esce dall’aula, e, sfortunatamente, non finisce nemmeno il bullismo scolastico”, ha dichiarato il Direttore generale dell’Unicef Henrietta Fore. “Migliorare l’esperienza formativa dei giovani significa dar conto dell’ambiente che incontrano, sia online sia offline. In tutto il mondo, i giovani ci stanno dicendo che sono stati bullizzati online, che ciò sta colpendo la loro istruzione e che vogliono che finisca”.

E anch’io, nel mio piccolo, non potevo non parlare di un fenomeno tanto dilagante, essendo febbraio il mese della sensibilizzazione e in particolare il 7 febbraio la Giornata Nazionale contro bullismo e cyberbullismo.

Solo nelle scuole secondarie di Roma, la città in cui sono nato e cresciuto, su un campione di 1022 studenti, è emerso che il 66,9% dei giovani è stato, almeno una volta, vittima di bullismo e che l’81.3% è stato spettatore. Il 57,3% delle vittime afferma di aver subito episodi di violenza all’interno della classe; il 34,9% all’interno degli istituti scolastici.

Difficile non riflettere su quanto bullismo e cyberbullismo siano piaghe sociali dilaganti.

IL BULLISMO

Il termine bullismo è utilizzato per designare un insieme di comportamenti in cui qualcuno, ripetutamente, fa o dice cose per avere potere su un’altra persona e dominarla.

Il bullo è caratterizzato da:

  • trova piacere nell’insultare, picchiare o cercare di dominare la vittima, anche quando è evidente che stia molto male ed angosciata
  • continua per un lungo periodo, con una progressiva crescita delle violenze che fa diminuire la stima di sé da parte della vittima
  • ha un maggior potere della vittima a causa dell’età, della forza, del genere (il maschio è più forte della femmina) o della popolarità nel gruppo di coetanei

Esistono, dunque, due forme di bullismo:

  • diretto, che a sua volta si divide in fisico (pugni, calci, sottrazione di oggetti con l’intento di rovinarli) e verbale (derisione, insulti, prese in giro, messa in evidenza degli aspetti razziali, dell’orientamento sessuale ecc.)
  • indiretto, tramite la diffusione di pettegolezzi fastidiosi o storie offensive, l’esclusione dai gruppi di aggregazione, ecc.

IL CYBERBULLISMO

Il cyberbullismo è un atto aggressivo, intenzionale condotto da un individuo o un gruppo usando varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel tempo contro una vittima che non può facilmente difendersi. Ha caratteristiche identificative proprie: il bullo può mantenere nella rete l’anonimato, ha un pubblico più vasto, ossia il Web, e può controllare le informazioni personali della sua vittima.

Nel 2006, la direttrice del Center for Safe and Responsible Internet Use statunitense, Nancy Willard, ha proposto una categorizzazione del fenomeno, basata sul tipo di comportamento. Le tipologie di cyberbullismo individuate sono sette, e sono attualmente prese in considerazione per distinguere i vari casi:

  • flaming: invio di messaggi volgari e aggressivi tramite gruppi online, email o messaggi, con l’unico scopo di creare conflitti verbali all’interno della rete fra due o più persone. Flame è un termine inglese che vuol dire fiamma, da cui deriva il comportamento di “accendere” una discussione verso una o più persone
  • harassment: molestie effettuate tramite canali di comunicazione con azioni, parole e comportamenti persistenti verso una singola persona, che causano disagio emotivo e psichico, creando una relazione sbilanciata tra il cyberbullo e la vittima, che subisce passivamente le molestie, senza potersi difendere e porre fine ad esse.
  • cyber-stalking: persecuzione attraverso l’invio ripetitivo di minacce, allo scopo di infastidire, molestare e terrorizzare le vittime facendo loro pensare di non essere più al sicuro neanche tra le mura di casa.
  • denigration: pubblicazione nella rete o tramite sms di fake news (notizie false), allo scopo di danneggiare la reputazione o le amicizie della vittima. Le nuove tecnologie digitali, come i social network, permettono di compiere questo atto di cyberbullismo con estrema facilità e rapidità: in poco tempo, moltissime persone potranno essere a conoscenza di queste affermazioni diffamatorie. Il processo di denigrazione colpisce generalmente aspetti centrali della personalità del soggetto come l’orientamento sessuale, l’appartenenza etnica, difetti fisici, difficoltà scolastiche e situazioni familiari.
  • masquerade: appropriazione dell’identità virtuale della vittima per compiere una serie di azioni che ne danneggiano la reputazione. Può aprire un nuovo profilo sui social network fingendo di essere la vittima oppure può agire da hacker per ottenere le credenziali d’accesso all’account della vittima compiendo azioni dannose.
  • exclusion: esclusione intenzionale di una persona da un gruppo online come WhatsApp e Facebook, chat varie, forum e anche giochi online.
  • trickery: ingannare o frodare intenzionalmente una persona

Nel 2007, è stata introdotta dall’educatore Smith una nuova forma di cyberbullismo:

Happing shapping: il cyberbullo, da solo o in gruppo, riprende la vittima con lo smartphone mentre la picchia. Il video poi viene pubblicato sul web allo scopo di deridere la vittima.

Bullismo e cyberbullismo sono fenomeni complessi che non possono essere sottovalutati, anche perché capaci di lasciare sulle vittime cicatrici indelebili.

A supporto di questo dato sconcertante, uno studio inglese ha cercato di stabilire un legame tra cyberbullismo e comportamenti a rischio suicidario, individuando, nei soggetti coinvolti nel fenomeno, vittime, bulli e bulli-vittime, la tendenza ad entrare in contatto con contenuti web riguardanti autolesionismo o suidicio.

CYBERBULLISMO E SUICIDIO: lo studio

Lo studio, condotto da Anke Gorzig (LSE’s Department of Media and Communications) ha portato all’attenzione il legame tra cyberbullismo e alcuni comportamenti disfunzionali, che potrebbero essere predittori di tendenze suicidarie.

In particolare, è stato utilizzato un campione composto da 25 mila bambini europei tra i 9 e i 16 anni. Il 6% del campione riportava di essere vittima di cyberbullismo, il 2,4% riportava di compiere atti di cyberbullismo e un 1,7% di essere sia vittima sia bullo. Di questi, il 4,1% riportava problemi nella gestione delle emozioni, il 16,8% problemi comportamentali, il 15,8% aveva problemi a relazionarsi con i propri pari.

Per quanto riguarda i comportamenti, è stata presa in considerazione la visione di contenuti web riguardanti autolesionismo o suicidi.

Nell’intero campione il 6,8% dei soggetti riportava la visione di contenuti web di autolesionismo, il 4,3% visionava contenuti web riguardanti il suicidio. Questi soggetti costituivano una bassa percentuale di coloro i quali non erano coinvolti in fenomeni di cyberbullismo. Invece, circa 1/5 dei delle vittime e dei bulli e 1/3 dei soggetti sia bulli sia vittime, era in contatto con contenuti web di autolesionismo; inoltre tra le vittime di cyberbullismo e tra coloro che ricoprivano il ruolo sia di vittime sia di bulli, era alta la percentuale di bambini che entravano a contatto con contenuti web riguardanti suicidi, mentre questa percentuale rimaneva bassa per i soggetti identificati solo come bulli.

Il trend relativo a chi entrava a contatto con contenuti di autolesionismo era due volte più alto per il gruppo delle vittime e per il gruppo dei bulli, e da tre a quattro volte più alto per i bulli-vittima, rispetto al gruppo di soggetti non coinvolti nel fenomeno; invece il trend relativo a chi entrava in contatto con contenuti di suicidio era da due a tre volte più alto per le vittime e per i bulli-vittima, rispetto al gruppo di soggetti non coinvolti.

C’è poco da aggiungere a questi dati, se non che occorre agire per prevenire un comportamento che sembra espandersi come un incendio in una giornata di forte vento, con il rischio che diventi non solo dilagante ma inarrestabile.

LE STRATEGIE IN AIUTO AI PIU’ GIOVANI

Per fortuna alcune strategie preventive si possono attuare, utili soprattutto ai più giovani:

  • Non fornire mai informazioni personali, le password, numeri PIN, ecc .
  • Non credere a tutto quello che si vede o si legge, non è detto che sia la verità.
  • Usare la gentilezza con gli altri che sono on-line, proprio come si farebbe off-line. Se qualcuno usa toni sgarbati o minacciosi è meglio non rispondere. I Bulli online sono proprio come off-line.
  • Non inviare un messaggio quando si è arrabbiati. Attendere fino a quando si ha avuto il tempo di pensare.
  • Non aprire un messaggio da qualcuno che non si conosce. In caso di dubbio è bene rivolgersi ai genitori, tutori o un altro adulto.
  • Durante la navigazione in Internet, se si trova qualcosa che non piace, che fa sentire a disagio o  spaventa, spegnere il computer e raccontare l’accaduto un adulto.
  • Concedetevi una pausa da Internet, mettendo la modalità off-line per trascorrere del tempo con la famiglia e gli amici.
  • Se si è stati vittima di un cyberbullo è importante parlare con un adulto che si conosce e di cui si ha fiducia.
  • Non cancellare o eliminare i messaggi dei cyberbulli. Non c’è bisogno di rileggerlo, ma tenerlo è la prova.
  • Non organizzare un incontro con qualcuno conosciuto online a meno che i genitori non vengano con te.

CONSIGLI PER I GENITORI

E se fosse il genitore a dover chiedere aiuto per i propri figli? Per capire se il proprio figlio o figlia è vittima di Cyberbullismo, ecco i segnali più evidenti a cui porre attenzione

  • Utilizzo eccessivo di internet.
  • Chiudere le finestre aperte del computer quando si entra nella camera.
  • Rifiuto ad utilizzare Internet.
  • Comportamenti diversi dal solito.
  • Frequenti invii attraverso Internet dei compiti svolti.
  • Lunghe chiamate telefoniche ed omissione dell’interlocutore.
  • Immagini insolite trovate nel computer.
  • Disturbi del sonno.
  • Disturbi dell’alimentazione.
  • Disturbi psicosomatici (mal di pancia, mal di testa, ecc).
  • Mancanza di interesse in occasione di eventi sociali che includono altri studenti.
  • Chiamate frequenti da scuola per essere riportati a casa.
  • Bassa autostima.
  • Inspiegabili beni personali guasti, perdita di denaro, perdita di oggetti personali.

Ascolto, consapevolezza, informazione e prevenzione sono le parole chiave su cui non si può prescindere. Al proposito, suggerisco la guida per genitori su come parlare di Internet ai figli realizzata da Unicef Italia insieme a Unicef Malesia, Digi e Telenor Group. Una lettura semplice ma efficace che non solo aiuta a sensibilizzare su un problema ancora sottovalutato, ma spinge già verso la prevenzione.